giovedì 13 settembre 2012

Uomo contro Uomo

Si è da poco conclusa la mobilitazione nazionale delle donne. Le nefandezze di un vecchio maiale al governo hanno avuto l’effetto positivo di richiamare una parte cospicua della popolazione a interrogarsi su di sé. Alcune donne (artiste, intellettuali, in genere borghesi) si sono fatte megafono di un sentimento che scorre nel Paese, altre donne (moltissime a vedere le immagini) gli hanno dato corpo, fantasia e contenuto e le piazze si sono riempite di sana indignazione, della voglia di emergere che coglie tutte e ciascuna. Non staremo qui a pronunciare parole su vecchi e nuovi femminismi o a intrometterci strumentalmente in polemiche che non ci riguardano e che hanno accompagnato la gestazione (è il caso di dirlo!) delle manifestazioni di oggi. Quando le donne si muovono è solito sollevarsi un vespaio di culture retrive, di politicantismo mascherato, di patriarcato camuffato, di oscurantismo variopinto e quant’altro, anche a sinistra - figuriamoci se la piazza fosse stata separatista come giustamente avveniva negli anni Settanta?! Non staremo a ripetere le cronache che domani invaderanno i giornali con maggior dovizia di particolari di quanto si potrebbe far qui. Né trarremo alcuna generalizzazione sul movimento femminista/delle donne che lasciamo al movimento stesso, in tutta la sua policromia. L’elemento nuovo e che ha colpito un po’ tutti/e è stata la diretta chiamata in causa degli uomini, invitati a partecipare apertamente. Ma chiamati anche a riflettere sull’immagine e sulla sostanza dell’essere maschile sulla sua rappresentazione. No gli uomini non sono tutti vecchi maiali pieni di soldi pronti a circuire la prima ragazzina con la merda in testa o qualche disadattata, non sono solo gli sguardi unti lanciati con offesa indecente per la strada o su un autobus, o in un luogo di lavoro o di svago. Non sono solo lo stupro (della moglie, della sconosciuta, della nipote, della zia, di chicchessia), la molestia, la battuta al sapore di cazzo, il sorrisetto idiota e allusivo, il ricatto quotidiano e la sovradeterminazione perenne. No gli uomini non sono solo questo. Ma sono anche questo. Sono anche peggio. E questo lo sono solo gli uomini.

Una soggettività femminile è potuta sorgere sotto un regime di oppressione quotidiana e complessiva che invade tutti gli ambiti della vita. È potuta nascere e generalizzarsi nel corso del Novecento, nella lotta di liberazione dall’oppressione patriarcale. Le donne hanno imparato a riconoscersi, a parlarsi, ad agire e a crescere contro e nonostante gli uomini e una cultura diffusa tutta al maschile. In qualche modo l’oppressione patriarcale ha offerto la possibilità che una soggettività (il pensiero e la coscienza di sé) del femminile potesse sorgere e consolidarsi e offrire a tutta la Specie se non già una via differente per vivere su questa Terra, una critica radicale dell’esistente e dell’esistenza, quella pubblica così come quella privata e addirittura intima.

Chiedete pure agli uomini di essere solidali, molti lo saranno, chiedete che scendano in piazza, loro ci saranno, chiedete che riflettano e che imparino ad ascoltare, faranno anche questo. Ma non chiedete di esprimere una loro soggettività positiva come genere e indipendente dalla battaglia femminista. Non possono. A differenza delle donne gli uomini, fin’ora, hanno imparato a riconoscersi come genere non in una lotta per la libertà o nella critica al dominio, ma nell’oppressione patriarcale stessa: da quando, più di 5.000 anni fa, hanno imposto la proprietà paterna sui figli (quindi sulle madri) e contemporaneamente infilavano i primi paletti nel terreno per delimitare, per la prima volta, la proprietà privata. La consapevolezza di appartenere a un genere gli uomini l’hanno interiorizzata nell’irreggimentazione militare, nelle caserme, nelle guerre, nella costruzione di sistemi di potere a loro uso e consumo, nell’aver convito che, in alternativa alla violenza quotidiana, al massimo si possa cedere una parità che non può e non ha motivo di esistere, ma utile a sedare ogni differenza eversiva. Gli uomini si riconoscono come tali quando gli viene messa una divisa addosso, un elmetto in testa e un fucile in mano, quando devono difendere la propria femmina da un altro maschio o quando, complici, si scambiano un colpo di gomito nelle chiacchiere da bar. Non chiedete agli uomini ciò che non sono. Chiedete ciò che possono: disponibilità ad imparare e a non star zitti. Chiedete quello che possono, perché ogni uomo ha la possibilità di liberarsi dalla misera caricatura di se stesso che gli viene offerta e che spesso assume e ripete. Ne ha possibilità se ingaggia una lotta profonda millenni contro sé, contro il suo portato storico, contro il potere patriarcale/autoritario/capitalista che ha costruito e di cui tutt’oggi si giova (e si pente). Ogni uomo se lo vuole può imparare dalla critica femminista che logiche di superiorità/inferiorità competizione/dominio non permettono di capire alcunché e deperiscono l’umana persona. La libertà infinita è una lotta seria, anche contro sé, di ciascun uomo contro ogni uomo.

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