Si è da poco conclusa la mobilitazione nazionale
delle donne. Le nefandezze di un vecchio maiale al governo hanno avuto l’effetto
positivo di richiamare una parte cospicua della popolazione a interrogarsi su di
sé. Alcune donne (artiste, intellettuali, in genere borghesi) si sono fatte
megafono di un sentimento che scorre nel Paese, altre donne (moltissime a vedere
le immagini) gli hanno dato corpo, fantasia e contenuto e le piazze si sono
riempite di sana indignazione, della voglia di emergere che coglie tutte e
ciascuna. Non staremo qui a pronunciare parole su vecchi e nuovi femminismi o a
intrometterci strumentalmente in polemiche che non ci riguardano e che hanno
accompagnato la gestazione (è il caso di dirlo!) delle manifestazioni di oggi.
Quando le donne si muovono è solito sollevarsi un vespaio di culture retrive, di
politicantismo mascherato, di patriarcato camuffato, di oscurantismo variopinto
e quant’altro, anche a sinistra - figuriamoci se la piazza fosse stata
separatista come giustamente avveniva negli anni Settanta?! Non staremo a
ripetere le cronache che domani invaderanno i giornali con maggior dovizia di
particolari di quanto si potrebbe far qui. Né trarremo alcuna generalizzazione
sul movimento femminista/delle donne che lasciamo al movimento stesso, in tutta
la sua policromia. L’elemento nuovo e che ha colpito un po’ tutti/e è stata la
diretta chiamata in causa degli uomini, invitati a partecipare apertamente. Ma
chiamati anche a riflettere sull’immagine e sulla sostanza dell’essere maschile sulla sua
rappresentazione. No gli uomini non sono tutti vecchi maiali pieni di soldi
pronti a circuire la prima ragazzina con la merda in testa o qualche
disadattata, non sono solo gli sguardi unti lanciati con offesa indecente per la
strada o su un autobus, o in un luogo di lavoro o di svago. Non sono solo lo
stupro (della moglie, della sconosciuta, della nipote, della zia, di
chicchessia), la molestia, la battuta al sapore di cazzo, il sorrisetto idiota e
allusivo, il ricatto quotidiano e la sovradeterminazione perenne. No gli uomini
non sono solo questo. Ma sono anche questo. Sono anche peggio. E questo lo sono
solo gli uomini.
Una soggettività femminile è potuta sorgere sotto
un regime di oppressione quotidiana e complessiva che invade tutti gli ambiti
della vita. È potuta nascere e generalizzarsi nel corso del Novecento, nella
lotta di liberazione dall’oppressione patriarcale. Le donne hanno imparato a
riconoscersi, a parlarsi, ad agire e a crescere contro e nonostante gli uomini e
una cultura diffusa tutta al maschile. In qualche modo l’oppressione patriarcale
ha offerto la possibilità che una soggettività (il pensiero e la coscienza di
sé) del femminile potesse sorgere e consolidarsi e offrire a tutta la Specie se
non già una via differente per vivere su questa Terra, una critica radicale
dell’esistente e dell’esistenza, quella pubblica così come quella privata e
addirittura intima.
Chiedete pure agli uomini di essere solidali, molti
lo saranno, chiedete che scendano in piazza, loro ci saranno, chiedete che
riflettano e che imparino ad ascoltare, faranno anche questo. Ma non chiedete di
esprimere una loro soggettività positiva come genere e indipendente dalla
battaglia femminista. Non possono. A differenza delle donne gli uomini, fin’ora,
hanno imparato a riconoscersi come genere non in una lotta per la libertà o
nella critica al dominio, ma nell’oppressione patriarcale stessa: da quando, più
di 5.000 anni fa, hanno imposto la proprietà paterna sui figli (quindi sulle
madri) e contemporaneamente infilavano i primi paletti nel terreno per
delimitare, per la prima volta, la proprietà privata. La consapevolezza di
appartenere a un genere gli uomini l’hanno interiorizzata nell’irreggimentazione
militare, nelle caserme, nelle guerre, nella costruzione di sistemi di potere a
loro uso e consumo, nell’aver convito che, in alternativa alla violenza
quotidiana, al massimo si possa cedere una parità che non può e non ha motivo di
esistere, ma utile a sedare ogni differenza eversiva. Gli uomini si riconoscono
come tali quando gli viene messa una divisa addosso, un elmetto in testa e un
fucile in mano, quando devono difendere la propria femmina da un altro maschio o
quando, complici, si scambiano un colpo di gomito nelle chiacchiere da bar. Non
chiedete agli uomini ciò che non sono. Chiedete ciò che possono: disponibilità
ad imparare e a non star zitti. Chiedete quello che possono, perché ogni uomo ha
la possibilità di liberarsi dalla misera caricatura di se stesso che gli viene
offerta e che spesso assume e ripete. Ne ha possibilità se ingaggia una lotta
profonda millenni contro sé, contro il suo portato storico, contro il potere
patriarcale/autoritario/capitalista che ha costruito e di cui tutt’oggi si giova
(e si pente). Ogni uomo se lo vuole può imparare dalla critica femminista che
logiche di superiorità/inferiorità competizione/dominio non permettono di capire
alcunché e deperiscono l’umana persona. La libertà infinita è una lotta seria,
anche contro sé, di ciascun uomo contro ogni uomo.
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