Benché
l'antifascismo – inteso sia come teorizzazione politica che come risposta
militare - nasca quasi contemporaneamente alla comparsa dello squadrismo, le
prime forme di resistenza al fascismo sono sicuramente meno note di quelle
legate alle esperienze della guerra civile spagnola e della Resistenza. Nel
secondo dopoguerra, l'antifascismo sconfitto degli Arditi del popolo è stato
relegato ai margini della storiografia, benché dietro esso vi fossero sia - come
notò Guido Quazza - "tutta una storia", sia le stesse ragioni fondanti della
Resistenza. Tra le ragioni di questa parziale rimozione, vi possono essere
quella delle origini e della natura della prima associazione antifascista
(permeata da miti arditistico-dannunziani, successivamente fatti propri dal
fascismo, e, al contempo, attestata su posizioni genericamente rivoluzionarie) e
quella della difficile autocritica degli attori di allora (dalle istituzioni
alle forze politiche e sociali) le quali non compresero appieno la portata del
fenomeno fascista e che, tranne qualche eccezione, ostacolarono la diffusione
dell'antifascismo del 1921-22. Un antifascismo forse (e comunque solo per taluni
aspetti) distante, per contenuti e forme, da quello istituzionalizzatosi
nell'Italia repubblicana; ma pur sempre un antifascismo nel quale l'esperienza
resistenziale e il movimento democratico sorto da essa trovano la loro
origine.
Nascita del movimento
Nati a Roma
gli ultimi giorni di giugno del 1921 da una scissione dell'Associazione
nazionale arditi d'Italia, per iniziativa dell'anarchico Argo Secondari (ex
tenente dei reparti d'assalto nella prima guerra mondiale), gli Arditi del
popolo si propongono di opporsi manu militari alla violenza delle squadre
fasciste. Estenuate da mesi di spedizioni punitive, le masse popolari colpite
dallo squadrismo accolgono la loro nascita con entusiasmo. Stanche dei crimini
fascisti, esse vedono concretizzarsi nella nuova organizzazione quella volontà
di riscossa che trae origine - soprattutto negli strati meno politicizzati della
classe lavoratrice - dal puro e semplice istinto di sopravvivenza. La comparsa
degli Arditi del popolo rappresenta indubbiamente, per il proletariato italiano,
il fatto eclatante dell’estate1921. Sia costituendosi ex novo che
appoggiandosi alle sezioni della Lega proletaria (l'associazione reducistica
legata al PSI e al PCd'I) o a formazioni paramilitari preesistenti (quali gli
Arditi rossi di Trieste o i Figli di nessuno di Genova e
Vercelli), nascono in tutta Italia sezioni di Arditi del popolo, pronte a
fronteggiare militarmente lo squadrismo fascista. Il nuovo governo, presieduto
da Ivanoe Bonomi, guarda al fenomeno arditopopolare con estrema preoccupazione,
poiché la comparsa delle formazioni armate antifasciste rischia di affossare
l’ipotesi della realizzazione di un trattato di tregua tra socialisti e fascisti
(quello che sarà, nemmeno un mese dopo, il "Patto di pacificazione") fortemente
desiderato dal presidente del Consiglio.
Il 6 luglio
1921, presso l'Orto botanico di Roma, ha luogo un'importante manifestazione
antifascista alla quale prendono parte migliaia di lavoratori e la cui eco
arriva fino a Mosca: la "Pravda" del 10 luglio ne fa infatti un dettagliato
resoconto e lo stesso Lenin, favorevolmente colpito dall'iniziativa e in
polemica con la direzione bordighiana del PCd'I, non ha dubbi a indicarla come
esempio da seguire. Dopo questo imponente raduno, la struttura paramilitare
antifascista diviene, nel volgere di pochi giorni, un'organizzazione diffusa
capillarmente. Le linee di espansione dell'associazione seguono, principalmente,
le direttrici che dalla capitale conducono a Genova (Civitavecchia, Tarquinia,
Orbetello, Piombino, Livorno, Pisa, Sarzana, La Spezia) e ad Ancona
(Monterotondo, Orte, Terni, Spoleto, Foligno, Gualdo Tadino, Iesi). Ma anche in
molti altri centri al di fuori di queste due vie di comunicazione gli arditi del
popolo riescono a costituirsi in gruppi numericamente consistenti. Rilevanti
sono, a riguardo, quelli del Pavese, di Parma, Piacenza, Brescia, Bergamo,
Vercelli, Torino, Firenze, Catania e Taranto. Ma anche in alcuni centri minori
gli arditi del popolo riescono ad organizzarsi efficacemente.
I numeri
dell'organizzazione
Prendendo in
considerazione le sole sezioni la cui esistenza è certa, l’organizzazione
antifascista risulta strutturata, nell’estate del 1921, in almeno 144 sezioni
che raggruppano quasi 20 mila aderenti. Le 12 sezioni laziali (con più di 3.300
associati) primeggiano con quelle della Toscana (18, con oltre 3.000 iscritti).
In Umbria gli arditi del popolo sono quasi 2.000, suddivisi in 16 sezioni. Nelle
Marche sono quasi un migliaio, in 12 strutture organizzate. In Italia
settentrionale, la diffusione del movimento è significativa in Lombardia (17
sezioni che inquadrano più di 2.100 Arditi del popolo), nelle Tre Venezie (15
nuclei per circa 2.200 militanti) e, in misura minore, in Emilia Romagna (18
sezioni e 1.400 associati), Liguria (4 battaglioni e circa 1.100 Arditi del
popolo) e Piemonte (8 e circa 1.300). Nel Meridione le sezioni sono 7 sia in
Sicilia che in Campania, 6 in Puglia, 2 in Sardegna e solo una in Abruzzo e in
Calabria, mentre gli iscritti sono circa 600 in Sicilia, poco più di 500 in
Campania e nelle Puglie, quasi 200 in Abruzzo e poco meno in Calabria, 150 in
Sardegna.
La struttura militare
Sotto il
profilo tecnico-militare, gli Arditi del popolo sono una struttura militare
agile, capace di convergere in poco tempo dove si presuma possa avvenire una
spedizione punitiva dei fascisti. L'organizzazione antifascista cerca inoltre di
esercitare il controllo del territorio attraverso marce per le strade cittadine
oppure, alla stregua di una vera e propria milizia di quartiere, pattugliando il
territorio e identificando gli elementi filofascisti. Non deve meravigliare
dunque che la struttura organizzativa dell’arditismo popolare privilegi
l’aspetto militare su quello politico. Gli Arditi del popolo sono strutturati in
battaglioni, a loro volta suddivisi in compagnie (altrimenti dette centurie) e
in squadre. Ogni squadra è composta da dieci elementi più il caposquadra; ogni
compagnia è costituita da quattro squadre più il comandante di compagnia; il
battaglione, infine, risulta composto da tre compagnie più il comandante di
battaglione. Dunque, 136 uomini coadiuvati da un plotone autonomo di sicurezza
di altri 10 elementi. Ogni battaglione ha al suo interno delle squadre di
ciclisti per mantenere i collegamenti tra i vari battaglioni (rionali nelle
grandi città). I ciclisti assicurano inoltre i collegamenti tra il comando
generale, i battaglioni e altri soggetti (sedi operaie, ferrovieri, tranvieri,
operai d’arsenali, "ufficio stampa e giornale della sera"). L’addestramento
degli inquadrati avviene mediante apposite esercitazioni, le quali, comunque,
molte volte si risolvono in esercizi formali.
Dal punto di
vista organizzativo, la struttura del movimento ardito-popolare non è accentrata
in modo eccessivo. Ai vari Direttorii dei Comitati regionali (varati solo sulla
carta al primo congresso dell’associazione) vengono lasciati ampi margini di
autonomia. Nella pratica, ogni sezione dell’associazione decide autonomamente il
da farsi e il proprio stile di lavoro. Stile che – ovviamente – muta a seconda
della corrente politica dominante nella determinata realtà. Proprio perché
l’organizzazione si dichiara estranea a qualsiasi raggruppamento politico,
l’inquadramento nelle centurie non avviene, di norma, sulla base
dell’appartenenza ad una determinata organizzazione del movimento operaio.
Accade però che in alcune realtà (come ad esempio Livorno) gli Arditi del popolo
si dividano in compagnie sulla base dell’appartenenza politica.
I simboli
dell'arditismo
Al pari della
struttura tecnico-militare, anche i simboli della prima organizzazione
antifascista derivavano dall’arditismo di guerra: un teschio cinto da una corona
d’alloro e con un pugnale tra i denti con sotto scritto – in caratteri maiuscoli
– "A noi!" è il simbolo dell’associazione. Il timbro del direttorio è costituito
invece dal pugnale degli arditi, circondato da un ramoscello di alloro e uno di
quercia incrociati. Effigi allora in gran voga e non certo patrimonio esclusivo
dei Fasci di combattimento o delle forze politiche di destra. In qualche caso,
come a Civitavecchia, il gagliardetto degli Arditi del popolo (una scure che
spezza il fascio littorio) esprime invece più chiaramente la ragion d’essere
dell’organizzazione. Anche se non si può parlare di una vera e propria divisa,
gli arditi del popolo, come del resto la quasi totalità dei giovani militanti
dei partiti politici dell’epoca, ne hanno genericamente una: indossano un
maglione nero, pantaloni grigio-verdi e, a volte, portano una coccarda rossa al
petto. Molti Arditi del popolo infine, durante scontri e combattimenti, si
proteggono il capo con gli elmetti Adrian. Gli inni dell’organizzazione
ricalcano anch’essi, per musica e testi, i motivi dell’arditismo di guerra.
Dell’inno "ufficiale", cantato sull’aria di quello degli arditi "Fiamme nere", è
conservata copia nelle carte di polizia. "Siam del popolo - le invitte schiere/
c’hanno sul bavero le fiamme nere/ Ci muove un impeto - che è sacro e forte/
Morte alla morte - Morte al dolor", recita il ritornello; mentre l’ultima strofa
dichiara programmaticamente: "Difendiamo l’operaio/ dagli oltraggi e le
disfatte/ che l’Ardito, oggi, combatte/ per l’altrui felicità!" Nel settembre
1921 l’organo dell’associazione, "L’Ardito del popolo", pubblica invece un’altra
versione dell’inno più esplicitamente antifascista. Sull'aria di "Giovinezza", i
primi versi della canzone recitano così: "Rintuzziamo la violenza/ del fascismo
mercenario./ Tutti in armi! sul calvario/ dell’umana redenzion./ Questa eterna
giovinezza/ si rinnova nella fede/ per un popolo che chiede/ uguaglianza e
libertà."
partecipanti
Gli
organizzatori dell’associazione, a seconda della tradizione politica delle
località in cui essa è presente, sono i militanti dei movimenti e dei partiti
politici proletari o "sovversivi": anarchici, comunisti, socialisti massimalisti
(in particolare terzinternazionalisti), repubblicani, ma anche sindacalisti
rivoluzionari e, in alcune zone del paese, popolari. Oltre all'intenzione di
opporsi alle violenze delle camicie nere con pratiche di resistenza armata, ciò
che tiene unite queste differenti correnti del movimento operaio è la comune
lettura del fenomeno fascista come reazione di classe. Il fattore coagulante non
è dunque politico-ideologico, ma prettamente sociale. A livello sociale, il
profilo prevalentemente proletario del movimento è una caratteristica evidente
in tutto il territorio nazionale. I lavoratori delle Ferrovie dello Stato sono
numerosissimi, molti sono gli operai in genere e i metalmeccanici in
particolare, parecchi i braccianti agricoli, gli operai dei cantieri navali, i
portuali e i marittimi. Vari sono pure gli operai edili, i postelegrafonici, i
tranvieri e i contadini. Ma vi sono anche, in misura minore e soprattutto tra i
gruppi dirigenti, impiegati, pubblicisti, studenti, artigiani e qualche libero
professionista.
La breve storia degli Arditi del
Popolo
Insieme alle
adesioni arrivano anche i primi successi militari: le difese di Viterbo (che
vide la cittadinanza stringersi attorno ai militanti antifascisti per respingere
l'assalto degli squadristi perugini) e di Sarzana (nei cui scontri restarono
uccisi una ventina di fascisti), organizzate dagli arditi del popolo dei due
centri, disorientano e incrinano la compagine mussoliniana: le due anime del
fascismo individuate da Gramsci, quella urbana - più politica e disponibile alla
trattativa - e quella agraria - essenzialmente antipopolare e irriducibile a
ogni compromesso - giungono a un passo dalla scissione. Ma, violentemente
osteggiati dal governo Bonomi, gli Arditi del popolo non ricevono - tranne
qualche eccezione - il sostegno dei gruppi dirigenti delle forze del movimento
operaio e nel volgere di pochi mesi, riducono notevolmente il loro organico,
sopravvivendo in condizioni di clandestinità solo in poche realtà tra le quali,
Parma, Ancona, Bari, Civitavecchia e Livorno; città in cui riusciranno, con
risultati differenti, a opporsi all'offensiva finale fascista nei giorni dello
sciopero generale "legalitario" dell'agosto 1922. Già nell'autunno precedente,
comunque, l'azione congiunta di governo e Magistratura aveva dato i suoi frutti:
le sezioni dell'associazione si erano ridotte a una cinquantina e gli iscritti a
poco più di seimila.
Il motivo di
questa brusca battuta d'arresto non va però ricercato solamente
nell'atteggiamento delle autorità. I provvedimenti bonomiani contro i corpi
paramilitari (che danneggiarono le sole formazioni di difesa proletaria), le
disposizioni prefettizie, gli arresti, le denunce e lo stesso atteggiamento
della Magistratura (ispirato alla politica "dei due pesi e delle due misure"),
non sarebbero stati possibili o comunque pienamente efficaci se le forze
politiche popolari avessero sostenuto, o quantomeno non osteggiato, la prima
organizzazione antifascista. Ma esse, per ragioni differenti, abbandonarono al
proprio destino la neonata struttura paramilitare a tutela della classe
lavoratrice.
Tolta la
piccola Frazione terzinternazionalista, Il PSI, il principale partito
proletario, oltre a fare propria la formula della resistenza passiva, si illuse
di poter siglare un accordo di pace duraturo con il movimento mussoliniano (il
cosiddetto "patto di pacificazione"), e con la quinta clausola di questo patto
scellerato, dichiarava, non senza una dose di calcolato opportunismo, la propria
estraneietà all'organizzazione e all'opera degli Arditi del popolo.
Colto alla
sprovvista dalla loro comparsa, ma propenso ad opporre forza alla forza, il
Partito comunista decide di non appoggiare gli Arditi del popolo poiché - a
detta del Comitato esecutivo - costituitisi su un obiettivo parziale e per
giunta arretrato (la difesa proletaria) e, dunque, insufficientemente
rivoluzionari. La difesa proletaria doveva realizzarsi esclusivamente
all'interno di strutture controllate direttamente dal partito, e gli Arditi del
popolo - definiti infondatamente "avventurieri" e "nittiani" - dovevano
considerarsi alla stregua di potenziali avversari. Ma moltissimi comunisti (tra
cui anche qualche dirigente e, all'inizio, lo stesso Gramsci) non accettarono
simili disposizioni e restarono all'interno degli Arditi del popolo o
proseguirono nell'azione di collaborazione e/o appoggio. Solo dopo ulteriori
interventi da parte del "Centro" (accompagati da vere e proprie minacce di gravi
provvedimenti disciplinari) la maggior parte delle strutture del PCd'I si adegua
alla linea ufficiale e va ad allargare le fila delle Squadre comuniste d'azione.
Questa scelta politica viene criticata duramente dall'Internazionale comunista
che, a partire dall'ottobre del '21, avvierà un serrato dibattito con i
dirigenti del PCd'I, stigmatizzandoli per il loro settarismo.
Con
l'eccezione del Lazio, del Veneto e della Federazione giovanile, per quanto
riguarda i repubblicani, e del Parmense e di Bari, per sindacalisti
rivoluzionari e legionari fiumani, le forze politiche della "sinistra
interventista" si orientano quasi subito anch'esse verso soluzioni di autodifesa
che escludono la confluenza o la collaborazione con gli Arditi del popolo. Anche
queste formazioni preferiscono organizzare l'autodifesa a livello partitico,
teorizzando, nella maggioranza dei casi, la perfetta equidistanza tra
"antinazionali" (anarchici, socialisti e comunisti) e "reazionari" (fascisti,
nazionalisti e liberal-conservatori).
L’unica
componente proletaria che sostiene apertamente l’arditismo popolare è quella
libertaria. Un'area composita e numericamente consistente al cui interno vi sono
anime tra loro assai diverse. In ogni caso, sia l’Unione sindacale italiana che
l’Unione anarchica italiana sono, per tutto il biennio 1921-22, sostanzialmente
favorevoli alla struttura paramilitare di autodifesa popolare. Dopo
l'allineamento di Gramsci e de "L'Ordine nuovo" alle direttive del partito, il
quotidiano anarchico "Umanità Nova" rimane infatti l’unica voce proletaria a
perorare la causa degli Arditi del popolo.
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