giovedì 13 settembre 2012

Genuflessione operaia?

È in atto uno scontro impensabile fino a qualche anno fa. Uno scontro anomalo però, nel quale uno dei due contendenti ha abdicato le sue responsabilità, lasciando l’altro nell’agio di poter condurre il suo affondo. Persa la vertenza Alitalia, nel modo in cui è stata persa, la borghesia italiana ha scelto di seguire la strada dell’affronto, consapevole di poter tirare la corda, senza rischiare che questa si spezzi. In realtà è solo una parte della borghesia italiana a trovarsi all’offensiva. È il signor Marchionne a dettare i tempi, i luoghi e le modalità. Il resto degli industriali, questi capitani coraggiosi (!), è rimasto a guardare, opportunisticamente intimorito. Marcegaglia è troppo presa dal piangere soldi pubblici per le sue industrie, mentre Federmeccanica si è svegliata dal suo torpore burocratico solo a giochi già fatti, dicendo di essere d’accordo, più per tema di essere abbandonata da Marchionne che per una reale capacità di progettazione. Lo stesso governo dell’industriale mr.Berlusconi è rimasto sulle sue, disinteressato alla questione e sostanzialmente soddisfatto dall’a.d. della Fiat, il quale, per ora, ha raggiunto almeno due risultati importanti: 1) ha spezzato la contrattazione nazionale 2) ha spezzato la consapevolezza e la capacità di lotta del comparto storicamente più agguerrito in questo paese.

Con la sconfitta della vertenza all’Alitalia, qualche anno fa, si è entrati in una fase nuova dei rapporti sindacali. La rappresentanza non è più come l’abbiamo conosciuta fin’ora, anche la Cgil deve fare i conti con meccanismi semidemocratici che, fino a quando le hanno fatto comodo, ha difeso e sostenuto contro le forme dell’associazione di base dei lavoratori. Ciò che più colpisce non è l’arroganza di un padrone di merda che produce più o meno lo stesso prodotto come faceva 100 anni fa. Ciò che colpisce è la mancanza reazione dei diretti interessati. Certo l’opinione pubblica è desolata (neanche tanto), borghesi di sinistra come quelli di “MicroMega” si agitano e raccolgono firme di solidarietà, i lavoratori sono preoccupati, qualche anziano operaio piange fuori dai cancelli, Vendola straparla, Ferrero sussurra, i sindacati di base abbaiano ma non mordono (non possono, sono senza denti) ecc. Ma i metalmeccanici stanno scegliendo. Scelgono di dar retta alla Fiom, che dopo Pomigliano avrebbe dovuto capire l’andazzo e non abbarbicarsi in azioni legali che, dopo averle perse, si sono tramutate in licenziamenti mirati delle avanguardie operaie, degni del peggior Valletta. Gli operai scelgono di andare a votare al referendum padronale e scelgono di votare “sì”. “Sì” lo hanno votato a stretta maggioranza ma a maggioranza reale, anche tra le “linee”, lì dove ci sono gli operai veri, quelli con-la-tuta-blu-e-le-mani-callose. Scelgono di abbassare la testa, di genuflettersi. Si dice che i lavoratori alla Fiat siano sotto ricatto, è vero, lo sono, e proprio per questo avrebbero potuto fare una scelta differente, che li avrebbe permesso di uscire da questa situazione poco decorosa, nella quale rimarranno sempre più invischiati. Il rischio è che anche da un punto di vista ideologico e culturale passi un’idea neocorporativa, presto auspicata, a destra e a sinistra, da Gasparri e Veltroni. La partecipazione al rischio aziendale, agli eventuali utili (che, statene certi, gli operai non vedranno mai), alle strategie (un eufemismo!) padronali, la tendenza a vivere la fabbrica come una piccola patria, scissa dal resto della società, sono tra i pericoli peggiori nei quali il proletariato nostrano sta rischiando di inciampare e cadere. I lavoratori della Fiat avrebbero potuto operare scelte differenti. Avrebbero potuto, per esempio, imparare dagli studenti e dai giovani che il 14/12/2010 hanno dato un segnale di tutt’altro tipo. Questionare l'ordine, impadronirsi di una fabbrica, rompere le regole dello sciopero, può interrompere la normalità e la quotidianità dello sfruttamento, significa riprendere ossigeno, significa prendersi lo spazio fisico per potersi guardare negli occhi e ragionare, finalmente, dei propri interessi condivisi come classe. Indipendentemente dall’immobilismo delle burocrazie sindacali, dalle fregole della politica o dai capricci padronali, è il caso che i metalmeccanici comincino ad autorganizzare le loro energie. In questo Paese, se non lo fanno loro, difficilmente lo farà qualcun altro. Un operaio sa come un pensiero può diventare opera. Sa che insieme ai suoi compagni un’opera può diventare qualcosa di più. Lo sa se si ricorda di averlo già fatto. lo sa se ne fa nuova esperienza. Il cosiddetto patto sociale è già saltato, agire direttamente è una via di scampo, una via per un nuovo inizio. Buon lavoro.

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