È in atto uno scontro impensabile fino a qualche
anno fa. Uno scontro anomalo però, nel quale uno dei due contendenti ha abdicato
le sue responsabilità, lasciando l’altro nell’agio di poter condurre il suo
affondo. Persa la vertenza Alitalia, nel modo in cui è stata persa, la borghesia
italiana ha scelto di seguire la strada dell’affronto, consapevole di poter
tirare la corda, senza rischiare che questa si spezzi. In realtà è solo una
parte della borghesia italiana a trovarsi all’offensiva. È il signor Marchionne
a dettare i tempi, i luoghi e le modalità. Il resto degli industriali, questi
capitani coraggiosi (!), è rimasto a guardare, opportunisticamente intimorito.
Marcegaglia è troppo presa dal piangere soldi pubblici per le sue industrie,
mentre Federmeccanica si è svegliata dal suo torpore burocratico solo a giochi
già fatti, dicendo di essere d’accordo, più per tema di essere abbandonata da
Marchionne che per una reale capacità di progettazione. Lo stesso governo
dell’industriale mr.Berlusconi è rimasto sulle sue, disinteressato alla
questione e sostanzialmente soddisfatto dall’a.d. della Fiat, il quale, per ora,
ha raggiunto almeno due risultati importanti: 1) ha spezzato la contrattazione
nazionale 2) ha spezzato la consapevolezza e la capacità di lotta del comparto
storicamente più agguerrito in questo paese.
Con la sconfitta della vertenza all’Alitalia,
qualche anno fa, si è entrati in una fase nuova dei rapporti sindacali. La
rappresentanza non è più come l’abbiamo conosciuta fin’ora, anche la Cgil deve
fare i conti con meccanismi semidemocratici che, fino a quando le hanno fatto
comodo, ha difeso e sostenuto contro le forme dell’associazione di base dei
lavoratori. Ciò che più colpisce non è l’arroganza di un padrone di merda che
produce più o meno lo stesso prodotto come faceva 100 anni fa. Ciò che colpisce
è la mancanza reazione dei diretti interessati. Certo l’opinione pubblica è
desolata (neanche tanto), borghesi di sinistra come quelli di “MicroMega” si
agitano e raccolgono firme di solidarietà, i lavoratori sono preoccupati,
qualche anziano operaio piange fuori dai cancelli, Vendola straparla, Ferrero
sussurra, i sindacati di base abbaiano ma non mordono (non possono, sono senza
denti) ecc. Ma i metalmeccanici stanno scegliendo. Scelgono di dar retta alla
Fiom, che dopo Pomigliano avrebbe dovuto capire l’andazzo e non abbarbicarsi in
azioni legali che, dopo averle perse, si sono tramutate in licenziamenti mirati
delle avanguardie operaie, degni del peggior Valletta. Gli operai scelgono di
andare a votare al referendum padronale e scelgono di votare “sì”. “Sì” lo hanno
votato a stretta maggioranza ma a maggioranza reale, anche tra le “linee”, lì
dove ci sono gli operai veri, quelli con-la-tuta-blu-e-le-mani-callose. Scelgono
di abbassare la testa, di genuflettersi. Si dice che i lavoratori alla Fiat
siano sotto ricatto, è vero, lo sono, e proprio per questo avrebbero potuto fare
una scelta differente, che li avrebbe permesso di uscire da questa situazione
poco decorosa, nella quale rimarranno sempre più invischiati. Il rischio è che
anche da un punto di vista ideologico e culturale passi un’idea neocorporativa,
presto auspicata, a destra e a sinistra, da Gasparri e Veltroni. La
partecipazione al rischio aziendale, agli eventuali utili (che, statene certi,
gli operai non vedranno mai), alle strategie (un eufemismo!) padronali, la
tendenza a vivere la fabbrica come una piccola patria, scissa dal resto della
società, sono tra i pericoli peggiori nei quali il proletariato nostrano sta
rischiando di inciampare e cadere. I lavoratori della Fiat avrebbero potuto
operare scelte differenti. Avrebbero potuto, per esempio, imparare dagli
studenti e dai giovani che il 14/12/2010 hanno dato un segnale di tutt’altro
tipo. Questionare l'ordine, impadronirsi di una fabbrica, rompere le regole
dello sciopero, può interrompere la normalità e la quotidianità dello
sfruttamento, significa riprendere ossigeno, significa prendersi lo spazio
fisico per potersi guardare negli occhi e ragionare, finalmente, dei propri
interessi condivisi come classe. Indipendentemente dall’immobilismo delle
burocrazie sindacali, dalle fregole della politica o dai capricci padronali, è
il caso che i metalmeccanici comincino ad autorganizzare le loro energie. In
questo Paese, se non lo fanno loro, difficilmente lo farà qualcun altro. Un
operaio sa come un pensiero può diventare opera. Sa che insieme ai suoi compagni
un’opera può diventare qualcosa di più. Lo sa se si ricorda di averlo già fatto.
lo sa se ne fa nuova esperienza. Il cosiddetto patto sociale è già saltato, agire
direttamente è una via di scampo, una via per un nuovo inizio. Buon
lavoro.
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