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dicembre 2010. Alla Camera e al Senato si vota la fiducia al governo presieduto
da Silvio Berlusconi. Mentre nelle stanze del potere si schiudono squallide
parentesi di (dis)onorevoli comprati, venduti, regalati e prestati, di finiani
che fanno a schiaffi tra di loro, fuori, decine e decine di migliaia di persone
venute da tutta Italia sfilano per le vie del centro. Un lunghissimo corteo
composto principalmente da ragazzi e ragazze, che hanno voglia di mostrare tutta
la loro indignazione verso un potere sordo e corrotto. Sulle prime, tra i
manifestanti, gira voce che la Camera ha sfiduciato, pochi minuti dopo, invece,
arriva presto la smentita e i volti sorridenti mutano in facce serie. C’è
qualcosa da fare. Roma, si sa, è una città disseminata di cantieri perenni e
asfalti sconnessi, così diventa facile attrezzare l’occorrente. A piazza del
Popolo, qualcuno, da un grande camion, cerca di far continuare il corteo, ma
qualcun altro ha qualcosa di più importante da fare e s’incammina per via del
Corso, verso Montecitorio. Le strade sono blindate, i gendarmi pascolano e
attendono, ma non a lungo. A passo veloce, infatti, arrivano i primi
manifestanti e poi gli altri, tutti gli altri. Qui termina l’effetto della droga
della delega. Ognuno agisce direttamente, come può, come vuole, come sa,
portando dentro mille motivi per scagliare più forte e più lontano, per prendere
meglio la mira. Tutto l’occorrente è a portata di mano. Dalle lotte in Campania
contro discariche tumorali e inceneritori al veleno s’impara velocemente che un
fuoco d’artificio, per esempio, se lanciato in orizzontale, può essere
altrettanto spettacolare, anche di giorno. Anche le geometrie cambiano, e si
scopre che tanti oggetti posti in verticale possono riposare comodamente se
sdraiati o piegati di 90°, potendo così assumere, finalmente, una loro pubblica
utilità.
Poi arriva la polizia con la
sua violenza scientifica e organizzata: lacrimogeni lanciati dai tetti, cariche,
manganelli, autoblindo che corrono sulla folla e quant’altro.
Al di là
delle cronache, il fatto non sono gli scontri, previsti e prevedibili, né la
fiducia al governo, anch’essa prevista e prevedibile, ottenuta grazie
all’infamia di qualche deputato prezzolato. No, il fatto riguarda il
protagonismo di chi non si fida più o non si è mai fidato. Non è solo un governo
a essere sfiduciato, ma è il meccanismo democratico a essere messo in forse. Non
ci sono deputati amici. Non ci sono partiti amici. Non c’è un attore migliore
dell’altro, ma tutto un teatro da destrutturare e divellere.
Finalmente svincolata dal
riformismo asfissiante dei radicali di sinistra, una gioventù sovversiva si
affaccia sulla scena e utilizza gli strumenti antichi della lotta di classe.
Sono solo esercizi ginnici. Stiracchiamenti muscolari. Prove tecniche. Per
ora.
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