Errico
Malatesta, Anarchia e violenza, "Pensero e Volontà", 1 settembre
1924
Anarchia
vuoi dire non-violenza, non-dominio dell’uomo sull’uomo, non-imposizione per
forza della volontà di uno o di più su quella di altri.
È solo
mediante l’armonizzazione degli interessi, mediante la cooperazione volontaria,
con l’amore, il rispetto, la reciproca tolleranza, è solo colla persuasione,
l’esempio, il contagio e il vantaggio mutuo della benevolenza che può e deve
trionfare l’anarchia, cioè una società di fratelli liberamente solidali,
che assicuri a tutti la massima libertà, il massimo sviluppo, il massimo
benessere possibili.
Vi sono
certamente altri uomini, altri partiti, altre scuole tanto sinceramente devoti
al bene generale quanto possono esserlo i migliori tra noi. Ma ciò che
distingue gli anarchici da tutti gli altri è appunto l’orrore della violenza,
il
desiderio e il proposito di
eliminare la violenza, cioè la forza materiale, dalle competenze tra gli
uomini.
Si
potrebbe dire perciò che l’idea specifica che distingue gli anarchici è
l’abolizione del gendarme, l’esclusione dai fattori sociali della regola imposta
mediante la forza, brutale, legale o illegale che sia.
Ma
allora, si potrà domandare, perché nella lotta attuale, contro le istituzioni
politico-sociali, che giudicano oppressive, gli anarchici hanno predicato e
praticato, e predicano e praticano, quando possono, l’uso dei mezzi violenti
che pur sono in evidente contraddizione coi fini loro? E questo al punto che, in
certi momenti, molti avversari in buona fede han creduto, e tutti quelli in mala
fede. han finto di credere, che il carattere specifico dell’anarchismo fosse
proprio la violenza?
La
domanda può sembrare imbarazzante, ma vi si può rispondere in poche parole. Gli
è che perché due vivano in pace bisogna che tutti e due vogliano la pace; ché se
uno dei due si ostina a volere colla forza obbligare l’altro a lavorare per lui
e a servirlo, l’altro se vuoI conservare dignità di uomo e non essere ridotto
alla più abbietta schiavitù, malgrado tutto il suo amore per la pace e il buon
accordo. sarà ben obbligato a resistere alla forza con mezzi
adeguati.
L’origine prima dei mali che
han travagliato e travagliano l’umanità, a parte s’intende quelli che dipendono
dalle forze avverse della natura, è il fatto che gli uomini non han compreso che
l’accordo e la cooperazione fraterna sarebbe stato il mezzo migliore per
assicurare a tutti il massimo bene possibile, e i più forti e i più furbi han
voluto sottomettere e sfruttare gli altri, e quando sono riusciti, a
conquistare una posizione vantaggiosa han voluto assicurarsene e perpetuarne il
possesso creando in loro difesa ogni specie di organi permanenti di
coercizione.
Da ciò è
venuto che tutta la storia è piena di lotte cruenti: prepotenze, ingiustizie,
oppressioni feroci da una parte, ribellioni dall’altra.
Non v’è
da fare distinzioni di partiti: chiunque ha voluto emanciparsi, o tentare di
emanciparsi, ha dovuto opporre la forza alla forza, le armi alle
armi.
Però
ciascuno, mentre ha trovato necessario e giusto adoperare la forza per difendere
la propria libertà, i propri interessi, la propria classe, il proprio paese, ha
poi, in nome di una morale sua speciale, condannata la violenza quando questa
si rivolgeva contro di lui per la libertà, per gli interessi, per la classe, per
il paese degli altri.
Così
quegli stessi che, per esempio qui in Italia, glorificano a giusta ragione le
guerre per l’indipendenza ed erigono marmi e bronzi in onore di Agesilao
Milano, di Felice Orsini, di Guglielmo Oberdan e quelli che hanno sciolto inni
appassionati a Sofia Perovskaja e altri martiri di paesi lontani, han poi
trattati da delinquenti gli anarchici quando questi sono sorti a reclamare la
libertà integrale e la giustizia uguale per tutti gli esseri umani e hanno
francamente dichiarato che, oggi come ieri, fino a quando l’oppressione e il
privilegio saran difesi dalla forza bruta delle baionette, l’insurrezione
popolare, la rivolta dell’individuo e della massa, resta il mezzo necessario
per conseguire l’emancipazione.
Ricordo
che in occasione di un clamoroso attentato anarchico, uno che figurava allora
nelle prime file del partito socialista e tornava fresco fresco dalla guerra
turco-greca, gridava forte, con l’approvazione dei suoi compagni, che la vita
umana ~ sacra sempre e che non bisogna al tentarvi
nemmeno
per la causa della libertà. Pare che facesse eccezione la vita dei turchi e la
causa dell’indipendenza greca.
Illogicità, o
ipocrisia?
Eppure
la violenza anarchica è la sola che sia giustificabile, la sola che non sia
criminale.
Parlo
naturalmente della violenza che ha davvero i caratteri anarchici, e non di
questo o quel fatto di violenza cieca e irragionevole che è stato attribuito
agli anarchici, o che magari è stato commesso da veri anarchici spinti al furore
da infami persecuzioni, o accecati, per eccesso di sensibilità non temperato
dalla ragione, dallo spettacolo delle ingiustizie sociali, dal dolore per il
dolore altrui.
La vera
violenza anarchica è quella che cessa dove cessa la necessità della difesa e
della liberazione. Essa è temperata dalla coscienza che gl’individui presi
isolatamente sono poco o punto responsabili della posizione che ha fatto loro
l’eredità e l’ambiente; essa non è ispirata dall’odio ma dall’amore; ed è santa
perché mira alla liberazione di tutti e non alla sostituzione del proprio
dominio a quello degli altri,
Vi è
stato in Italia un partito che, con fini di alta civiltà. si è adoperato a
spegnere nelle masse ogni fiducia nella violenza.., ed è riuscito a renderle
incapaci a ogni resistenza quando è venuto il fascismo, Mi è parso che lo stesso
Turati ha più o meno chiaramente riconosciuto e lamentato il fatto nel suo
discorso di Parigi per la commemorazione di Jaurès.
Gli
anarchici non hanno ipocrisia. La forza bisogna respingerla colla forza: oggi
contro le oppressioni di oggi; domani contro le oppressioni che potrebbero
tentare di sostituirsi a quelle di oggi.
Noi
vogliamo la libertà per tutti, per noi e per i nostri amici come per i nostri
avversari e nemici. Libertà di pensare e di propagare il proprio pensiero,
libertà di lavorare e di organizzare la propria vita nel modo che piace; non
libertà, s’intende — e si prega i comunisti di non equivocare —non libertà di
sopprimere la libertà e di sfruttare il lavoro degli altri.
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