dall'Archvio "P. Mattick"
Dalla critica fin qui condotta si
può facilmente dedurre che la futura attività della classe operaia non si potrà
chiamare un «nuovo inizio», ma semplicemente un inizio.
Il secolo di lotta di classe
testè trascorso ha permesso l'acquisizione di
conoscenze dal valore teoretico inestimabile; ha avuto nobili parole
rivoluzionarie contro un capitalismo che pure si proclamava il sistema sociale
finale e ha messo in dubbio la convinzione operaia che la situazione di miseria
dei lavoratori fosse senza speranza. Ma la sua lotta concreta è rimasta
all'interno dei confini capitalistici: è stata, infatti, un'azione che mirava,
attraverso la mediazione dei dirigenti, solamente a sostituire dei padroni
malleabili a quelli troppo duri A.Pannekoek
La storia passata del movimento
operaio deve essere considerata solo come un preludio all'azione futura. E
benché questo preludio abbia già anticipato senza dubbio alcuni aspetti della
lotta da venire, è rimasto solo un'anticipazione, appunto, e non un riassunto di
quello che seguirà.
Il movimento operaio europeo è
scomparso cosi facilmente, perché la sua organizzazione non aveva una
prospettiva avanzata; i suoi membri sapevano o intuivano che non c'era spazio
per loro in un sistema socialista e la loro paura che la società di classe
cessasse di esistere era identica a quella degli altri gruppi privilegiati.
Capaci di funzionare solo nelle condizioni della società capitalistica, essi
vedevano sfavorevolmente la fine del capitali-smo; scegliere fra due modi di
morire non ha mai rallegrato nessuno. Il fatto che tali organizzazioni abbiano
un senso solo nel capitalismo, spiega anche la loro curiosissima concezione
della società socialista. Il loro «socialismo» era ed è un «socialismo» assai
somigliante al capitalismo; più che socialisti, essi sono dei capitalisti
«progressivi ». Tutte le loro teorie, da quella del revisionista «marxiano»
Bernstein a quelle del «socialismo di mer-cato» in voga oggi, non sono altro che
metodi per realizzare un migliore adattamento al capitalismo. Non c'è perciò da
stupirsi se un sistema di chiaro capitalismo di Stato quale quello esistente in
Russia è generalmente considerato da essi come un sistema di socialismo
realizzato o di transizione al socialismo. Le critiche contro il sistema russo
concernono, infatti, solo la mancanza di democrazia, oppure la cosiddetta
malizia o stupidità della sua burocrazia, e non sfiorano neppure la questione
che i rapporti di produzione attualmente esistenti in Russia non sono
sostanzialmente diversi da quelli degli altri paesi capitalistici, o il fatto
che gli operai russi non hanno nessuna voce in capitolo riguardo agli affari
economici e produttivi del loro paese e sono soggetti politicamente ed
economicamente a condizioni di sfruttamento come gli operai di ogni altra
nazione.
Benché la maggior parte degli
operai russi non si trovino più a fronteggiare, nella loro lotta per l'esistenza
e per migliori condizioni di vita, imprenditori privati, la loro attuale
condizione di soggezione dimostra che non è stata realizzata nemmeno la vecchia
aspirazione del movimento operaio alla sostituzione dei padroni cattivi con
altri più benevoli.
La situazione russa dimostra
anche che la scomparsa del capitalista privato non mette fine, da sola, alla
forma capitali-stica di sfruttamento che, in sostanza, continua a sussistere
anche quando il capitalista privato è stato trasformato o sostituito da
rappresentanti della Stato. In Russia continuano a sussistere la separazione
degli operai dai mezzi di produzione e, con essa, il dominio di classe. Con
l'aggiunta di un apparato di sfruttamento altamente centralizzato e senza
divergenze all'interno della dire-zione generale; il che rende molto più
difficile la lotta degli operai per i loro obiettivi. La Russia si rivela, cosi,
nient' altro che il modello di uno sviluppo capitalistico diverso ed espresso
con una terminologia nuova. I tentativi fatti per estendere l'auto-sufficienza
nazionale russa e imposta con la violenza come in tutti gli altri paesi
capitalistici, vengono oggi celebrati come tante tappe della «costruzione del
socialismo in un solo paese». L'ottimismo del movimento operaio, però, sembra
crescere dopo ogni sconfitta subita. Quanto più si approfondisce infatti la
differenziazione di classe in Russia, quanto più la classe dirigente riesce,
sopprimendo l'opposizione, a rendere più duro il suo sistema di sfruttamento;
quanto più la Russia partecipa alla concorrenza economica mondiale capitalistica
come una potenza imperialistica uguale alle altre; tanto più si ritiene che il
socialismo sia stato, in quel paese, pienamente realizzato. Allo stesso modo che
il movimento operaio era stato capace di considerare la marcia
dell'accumulazione capitalistica una tendenza verso il socialismo, cosi oggi
esso celebra questo avanzamento progressivo verso la barbarie come costruzione
graduale della nuova società!
Per quanto diviso da molti
disaccordi interni su varie questioni, il vecchio movimento ha, riguardo al
socialismo, una compatta concezione unitaria. L'astratto «Cartello generale» di
Hilferding, l'ammirazione di Lenin per il socialismo di guerra e per il servizio
postale tedesco, l'eternizzazione operata da Kautsky dell'economia del
valore-prezzo-denaro (mirante a rendere co-sciente ciò che nel capitalismo viene
compiuto ciecamente dalle leggi automatiche del mercato), il comunismo di guerra
di Trockij -contemplante alcuni meccanismi di domanda e offerta- e l'economia
istituzionale di Stalin: tutte queste concezioni hanno, come base comune,
l'accettazione della permanenza del sistema produttivo attuale e non fanno altro
che riflettere dei processi attualmente presenti nella società capitalistica.
Infatti, un «socialismo» di questo genere viene oggi discusso anche da famosi
economisti borghesi come Pigou, Hayek, Robbins, Keynes, per citarne solo alcuni,
alle cui pubblicazioni i socialisti attingono i loro materiali teorici. Vari
economisti borghesi inoltre da Marshall a Mitchell, dai neo-classici ai moderni
istituzionalisti si sono occupati del problema di come portare ordine nel
disordine del sistema capitalistico, secondo una direzione che è il
corrispettivo teoretico della tendenza, presente sul terreno pratico,
all'allargamento dell'intervento dello Stato nella società concorrenziale.
Processo questo, che sta alla base dell'afferma-zione del «New Deal », del
«Nazional-socialismo» e del «Bolscevismo», i vari nomi che designano i
differenti gradi e le specificità del processo di centralizzazione e di
concentrazione del sistema capitalistico.
E ormai quasi diventato un luogo
comune descrivere le incoerenze del movimento operaio come una drammatica
contraddizione tra mezzi e fini. Eppure una tale incoerenza non esiste affatto.
Il «socialismo» non è mai stato il « fine» del vecchio movimento operaio ma,
piuttosto, un semplice termine di copertura per un obiettivo completamente
diverso: la conquista, cioè, del potere politico come strumento per la
partecipazione al sur-plus creato in una società basata sulla divisione tra
classi dominanti e classi dominate. Questo era il fine che, a sua volta, ha
determinato i mezzi.
La questione dei mezzi e dei
fini, in realtà, deriva dalla separazione che, in una società divisa in classi,
esiste tra realtà e ideologia, ed è quindi artificiosa nella misura in cui non
può essere risolta senza l'eliminazione degli attuali rapporti di classe. Non
solo: essa è inoltre anche priva di senso, perché esiste solo nella teoria e non
nella realtà effettuale. Di fatto, le azioni delle classi e dei gruppi si
possono sempre spiegare sulla base dei rapporti di produzione esistenti nella
società. E quando le azioni non, corrispondono ai fini proclamati, significa che
esse non volevano raggiungere veramente quei fini, i quali invece riflettono o
una insoddisfazione incapace di tradursi in azione concreta, o il desiderio di
nascondere i fini reali Nessuna realtà di classe, infatti, può agire in maniera
sbagliata, in una maniera cioè, che non corrisponda alle forze sociali
determinanti, nonostante abbia infinite possibilità di pensare in maniera
sbagliata. Nel contesto della produzione sociale capitalistica, ogni classe
dipende dall'altra. Il loro antagonismo deriva proprio dalla loro identità
d'interessi. Finché questa società esisterà, non ci sarà alcuna possibilità di
scelta nell'azione, e solo al di fuori dei suoi confini sarà possibile
coordinare coscientemente mezzi e fini e trovare una vera unità tra teoria e
pratica.
Nella società capitalistica la
contraddizione tra mezzi e fini è solo apparente e, in realtà, serve solo a
coprire una pratica concreta non del tutto disarmonica con quello che si
propone. Per eliminare l'apparente incoerenza basta scoprire qual è il fine
reale che sta dietro a quello ideologico. Per fare un esempio pratico: se uno
crede che i sindacati considerano lo sciopero come un mezzo per ridurre i
profitti ed innalzare i salari, sarà sorpreso di scoprire che essi, quanto più
potenti erano e quanto più necessari si ponevano gli aumenti salariali, tanto
più riluttanti si sono mostrati ad usare lo strumento delle sciopero per il
raggiungimento dei loro obiettivi, ripiegando, invece, su mezzi meno appropriati
ai fini che si proponevano, come, ad esempio, l'arbitrato e le trattative
governative. La spiegazione di questa apparente contraddizione si trova nel
fatto che l'aumento ad ogni costo del salario non è più un fine dei sindacati;
essi non sono più, infatti, quello che erano all'inizio; il loro vero fine è,
ora, il mantenimento ad ogni costo del loro apparato organizzativo e per questo
obiettivo la tattica da loto usata è un mezzo molto più appropriato. Ma rivelare
apertamente il cambiamento della loro natura, significherebbe alienarsi gli
operai; cosi il fine mera-mente ideologico diventa un mezzo per il
raggiungimento del fine reale: ha, cioè, una funzione puramente strumentale nel
contesto di una attività realistica e ben integrata.
Ciononostante, il problema dei
mezzi e dei fini è stato molto discusso dal vecchio movimento operaio e questo
spiega, in parte, perché il vero carattere di questo movimento sia stato
compreso cosi in ritardo e perché siano fiorite tante illusioni circa la
possibilità di procedere ad una sua riforma. Il tentativo più importante in
questo senso fu fatto quando la rivoluzione russa del 1905 ruppe la «riduttiva
quotidianità» del lavoro politico che il vecchio movimento operaio portava
allora avanti, ponendo nuovamente sul tappeto la questione del cambiamento reale
della società. Ma anche in quella sua posizione di apparente rifiuto radicale
della società esistente, il vecchio movimento operaio rivelò, ancora una volta,
il suo innato carattere capitalistico. Appena Lenin si applicò, infatti, alla
soluzione del problema del potere, ritornò immediatamente nel campo dei
rivoluzionari borghesi. E questo non solo per l'arretratezza della Russia, ma
anche per tutto lo sviluppo teorico del socialismo occidentale, che non era
approdato a niente più che ad un'ulteriore esaltazione del carattere borghese
ereditato dalle prime rivoluzioni. La natura capitalistica del movimento operaio
era, inoltre, confermata dalla sua teoria economica che, sulla scia della
tendenza predominante fra gli economisti borghesi, concepiva sempre più i
problemi della società come problemi di distribuzione, cioè di mercato. Persino
l'attacco rivoluzionario contro i «revisionisti », che si trova
nell'Accumulazione del Capitale di Rosa Luxemburg rimane sul piano
stabilito dagli antagonisti. Anche Rosa Luxemburg ritrovava, infatti, i limiti
della società capitalistica soprattutto nella sua incapacità di realizzare il
plusvalore, e ciò per la limitatezza dei mercati. Per cui, anche per lei, era la
sfera della circolazione e non quella della produzione che veniva a giocare il
ruolo fondamentale e determinante per la vita o la morte del capitalismo.
Comunque, dalla sinistra
pre-bellica (che comprendeva la Luxemburg, Liebknecht, Pannekoek e Gorter),
insieme alle lotte concrete degli operai e, cioè, agli scioperi di massa
scoppiati sia nell'Ovest che nell'Est, scaturì durante e immediatamente dopo la
guerra un movimento organizzato in gruppi antiparlamentari e antisindacali che
espresse in vari paesi delle direttive veramente anticapitalistiche. Nonostante
le incoerenze e le insufficienze, questo movimento riuscì, fin dall'inizio, a
formulare delle posizioni di radicale antagonismo nei confronti del capitalismo
nella sua totalità, comprendente quindi anche il movimento operaio, che faceva
parte anch' esso del sistema. Individuando nella presa del potere da parte di un
partito una semplice sostituzione di sfruttatori, esso proclamava la necessità
del controllo diretto degli operai in prima persona su tutta quanta la società.
I vecchi slogans dell'abolizione delle classi, del sistema e del salario,
cessarono di essere mere formulazioni verbali e divennero gli obiettivi
immediati delle nuove organizzazioni. Lo scopo che questo movimento si
prefiggeva non era la creazione di un nuovo gruppo dirigente della società,
delegato ad agire «per conto degli operai » e perciò, con la possibilità di
usare questo potere anche contro di loro, ma l'instaurazione di
un'organizzazione della produzione che assicurasse agli operai la possibilità di
controllarla direttamente.
Questi gruppi' rifiutavano di
fare delle distinzioni fra i vari partiti e i vari sindacati, giudicandoli in
blocco residui di uno stadio passato di sviluppo, in quanto si limitavano a
lotte di gruppo all'interno della società capitalistica. Quello che a loro
interessava non era rivitalizzare le vecchie organizzazioni, bensì rendere
palese la necessità di organizzazioni dal carattere radicalmente diverso: delle
organizzazioni, cioè, di classe, capaci non solo di cambiare la società, ma di
organizzare anche la nuova società in maniera tale da rendere impossibile ogni
forma di sfruttamento. Ciò che oggi rimane di questo movimento ha trovato una
forma organizzativa permanente nei Gruppi dei comunisti consiliari. Essi
si considerano marxisti e perciò internazionalisti. Avendo capito che, oggi,
tutti i problemi sono problemi internazionali, essi si rifiutano di pensare in
termini nazionalistici e dichiarano che tutte le considerazioni specificamente
nazionali servono solo alle esigenze della concorrenza capitalistica. Nel loro
stesso interesse gli operai devono sviluppare ulteriormente le forze produttive;
il che può avvenire solo sulla base di un corretto internazionalismo. Questa
posizione, però, non trascura le specificità nazionali e, perciò, non persegue
l'obiettivo di elaborare una politica identica per i vari paesi. Ogni gruppo
nazionale deve basare la sua attività sull'analisi dell'ambiente in cui si trova
ad operare, in maniera del tutto autonoma dagli altri gruppi benché sia
auspicato il raggiungimento, ovunque sia possibile, di un coordinamento delle
attività mediante lo scambio di esperienze. Questi gruppi sono marxisti perché
non hanno ancora elaborato una scienza sociale di livello superiore a quella di
Marx, e perché i principi marxiani della ricerca scientifica sono ancora i più
realistici, i più capaci di sussumere le nuove esperienze risultanti dal
continuo sviluppo capitalistico. Il marxismo non è da loro concepito come un
sistema chiuso, ma come il livello concreto di una scienza sociale in via di
sviluppo, che può servire come teoria della lotta di classe pratica degli
operai. La funzione principale di queste organizzazioni consiste, così, nella
critica che non è più diretta, però, solo contro il capitalismo esistente ai
tempi di Marx, ma si estende anche a quello sviluppo del capitalismo che ha
preso il nome di «socialismo».
La critica e la propaganda sono
le sole attività pratiche possibili oggi e la loro sterilità è solo il riflesso
di una situazione manifestamente non rivoluzionaria. Il declino del vecchio
movimento operaio, comprese le difficoltà e perfino l'impossibilità di portarne
avanti uno nuovo, è una prospettiva deplorabile solo dal punto di vista del
vecchio movimento operaio; i Gruppi di comunisti consiliari non ne gioiscono,
anzi, se ne dispiacciono, ma prendono semplicemente atto della situazione,
tenendo per fermo che la scomparsa del movimento operaio organizzato non porta
alcun cambiamento nella struttura sociale, e che la lotta di classe deve
continuare, operando sulla base delle possibilità date.
Una classe nella quale si
concentrano gli interessi rivoluzionari della società, non appena si è sollevata
trova immediatamente nella sua stessa situazione il contenuto e il materiale
della propria attività rivoluzionaria: abbattere i nemici, prendere misure
imposte dalle necessità stesse della lotta. Le conseguenze delle sue proprie
azioni la spingono avanti. Essa non inizia indagini teoriche sui suoi compiti.
K.Marx
Perfino una società fascista non
può impedire alla lotta di classe di andare avanti, e anche gli operai fascisti
saranno costretti a cambiare i rapporti di produzione. In ogni caso, oggi non
siamo di fronte né ad una società fascista, né ad una società democratica,
perché l'una e l'altra non sono che stadi differenti della stessa società; né
più avanzati né più arretrati, ma solo differenti, risultando da cambiamenti
nelle forze di classe della società capitalistica che hanno la loro origine da
una serie di contraddizioni economiche.
I Gruppi di comunisti consiliari
sostengono, inoltre, che nelle condizioni attuali non è possibile che avvenga
nessun vero cambiamento sociale, se le forze anticapitalistiche non diventano
più forti di quelle che sostengono il capitalismo, e che è impossibile
organizzare forze anticapitalistiche di tali dimensioni all'interno dei rapporti
capitalistici. Dall'analisi della società attuale e dallo studio delle lotte di
classe precedenti, essi concludono che l'attività spontanea delle masse
scontente creerà, nel corso di ribellioni, le organizzazioni adatte alle
circostanze, le sole in grado di mettere fine, irrompendo dai confini delle
condizioni sociali, all'attuale assetto sociale. Il problema
dell'organizzazione, cosi com'è oggi discusso, viene considerato una questione
completamente oziosa, perché le fabbriche, le imprese pubbliche, i posti di
ristoro e gli stessi eserciti preparati per la guerra che sta per cominciare,
offrono già sufficientemente l'adito alla formazione di attive organizzazioni di
massa indistruttibili, qualunque sia il carattere assunto dalla società
capitalistica. Come trama organizzativa della nuova società viene proposta
l'organizzazione consiliare basata sull'industria e sul processo produttivo, con
un tempo di lavoro medio come misura della produzione, della riproduzione e
della distribuzione, insieme a tutti i provvedimenti utili ad assicurare
l'eguaglianza economica in condizioni di divi-sione del lavoro. Questo tipo di
società, si sostiene, sarà in grado di programmare la sua produzione in base ai
bisogni e alle esigenze del popolo.
I Gruppi sono approdati, come è
già stato detto, alla conclusione che una tale società può funzionare solo
attraverso la partecipazione diretta dei lavoratori a tutti i livelli
decisionali, e questa concezione del socialismo è irrealizzabile sulla base di
una separazione fra operai e organizzatori. I Gruppi non pretendono di agire in
nome degli operai, ma si considerano essi stessi membri della classe operaia, i
quali hanno avuto, per una ragione o l'altra, la possibilità di constatare che
la tendenza sociale attuale procede nel senso del crollo del capitalismo, e in
questa direzione cercano di coordinare le concrete attività degli operai. Essi
sono coscienti di non essere niente più che gruppi di propaganda, in grado di
suggerire linee necessarie di azione, ma incapaci di eseguirle nell’« interesse
della classe». Questo la classe deve farlo da sé. I Gruppi tentano di basare
interamente la loro azione attuale sui bisogni degli operai, benché essa sia
inserita in una prospettiva di lungo periodo. In tutte le occasioni, essi
tentano di favorire l'iniziativa e l'azione autonoma degli operai, partecipando
quanto più possibile alle azioni operaie di massa, senza un programma autonomo
rispetto a quello stesso degli operai, di cui si cerca semplicemente di favorire
al massimo la partecipazione diretta a tutte le decisioni. Essi dimostrano, con
le parole e coi fatti, che il movimento operaio deve pensare solo ai propri
interessi; che la società nella sua totalità non è una faccenda che li riguardi,
dal momento che non esisterà mai una società davvero complessiva finché non
saranno abolite le classi; che gli operai devono attaccare, e attaccano davvero
le altre classi e tutti gli altri interessi presenti nella società basata sullo
sfruttamento, solo quando essi tengono conto soltanto dei loro interessi
specifici più immediati; che gli operai non possono sbagliare Finché fanno ciò
che è loro utile economicamente e socialmente; che essi, infine, devono
cominciare a risolvere i loro problemi oggi, preparandosi in questo modo a
risolvere i problemi, ancora più urgenti, del domani.